Editori a pagamento: tutto quello che devi sapere

Anna VendittoAprile 17, 2025 |
Tempo di lettura: 10 minuti
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Come per tutti gli argomenti scottanti, spesso capita che tutti sanno, pochi ne parlano e chi di fatto potrebbe cambiare le cose ignora completamente l’elefante nella stanza. Perché conviene, ovviamente. Hai mai visto qualcuno andare contro i propri interessi o cedere privilegi per il bene collettivo? Io no.

Prima di iniziare la mia disamina sugli editori a pagamento, voglio raccontarti un episodio, fare una premessa che forse comprenderai appieno solo alla fine.

Roma, dicembre 2023. Sono alla fiera PLPL – per chi non la conoscesse, si tratta della fiera della piccola e media editoria Più Libri Più Liberi organizzata ogni anno dall’AIE, l’Associazione Italiana Editori – ed è una di quelle giornate in cui cerco di essere presente a quanti più eventi e incontri possibili destinati agli addetti ai lavori e non. Incontri in cui si tirano somme, si mostrano report, si discute sullo stato attuale dell’editoria e sulle pieghe che potrebbe prendere nel futuro prossimo. Ad uno in particolare si discute di self publishing, l’opinione dominante (della maggior parte dei relatori presenti) verte sull’incontrovertibile superiorità degli editori tradizionali e sulla giusta impossibilità dei self publisher di essere presenti con titoli autopubblicati nelle librerie e (rullo di tamburi) nelle fiere di settore (spoiler dal futuro: nel 2024 il Salone Internazionale del Libro di Torino apre le porte ai self publisher, previa selezione; nel 2025 ripropone l’iniziativa dato il successo di quest’ultima nella precedente edizione del Salone).

Tesi giustificata dall’assunto secondo il quale gli editori tradizionali selezionano i titoli da pubblicare facendo cultura, mentre le piattaforme di self publishing non hanno alcuno sbarramento: chiunque può autopubblicare qualsiasi tipo di testo.

Non farebbe una piega se non fosse che nelle fiere di settore ci finiscono anche titoli pubblicati dagli editori a pagamento. Perché consentire agli editori a pagamento di partecipare? Semplice: gli editori pagano una quota per essere presenti con i loro stand. Mettersi a fare le pulci a questi ultimi significherebbe rinunciare a una fetta sostanziosa di introiti.

Difatti, però, così facendo si chiudono gli occhi su una questione importante che “sporca” il settore editoriale destinato a produrre cultura prima che profitto.

Come individuare una soluzione a un problema, se non discutendone? È quello che ho provato a fare chiedendo la parola.

“Perché dare per scontato che un libro autopubblicato sia di serie B e impedirne la promozione nelle fiere, quando tra gli stand di questa fiera ci sono non uno, non due, ma numerosi editori a pagamento che pubblicano qualsiasi cosa pur di spillare soldi agli autori?”

Nell’imbarazzo generale, la risposta ovviamente non è arrivata. Ho abbandonato la sala, lasciando alle mie spalle il gelo.

Continuerò ad andare alle fiere di settore ogni qualvolta ne avrò la possibilità, parteciperò a incontri, studierò i report e tutte le ricerche disponibili per informarmi e aggiornarmi sull’andamento del settore. Ma, senza perdere di vista il fine ultimo del mio lavoro: riconoscere storie che vale la pena raccontare e prendermene cura, affiancando gli autori.

Con molta probabilità, gli editori a pagamento continueranno a esistere, anzi saranno sempre più numerosi. Ma, conoscere il loro modo di agire può essere utile per non lasciarsi fregare.


Quanto costa pubblicare un libro con una casa editrice?

Iniziamo mettendo subito le cose in chiaro. Pubblicare un libro con una casa editrice non costa nulla. Sì, hai capito bene: nulla!

Pubblicare un libro con una CE seria – sia essa una piccola casa editrice indie o una casa editrice più strutturata facente parte di un gruppo editoriale come Mondadori o Feltrinelli, per citare le più conosciute – non comporta costi per l’autore. Un editore che si possa definire tale si assume l’onere finanziario (senza di esso non vi è rischio d’impresa, e l’editore è un imprenditore) legato alla realizzazione del libro (da lui selezionato), coprendo spese quali l’editing e la correzione di bozze, l’impaginazione, la progettazione grafica della copertina e la promozione dell’opera.

Tuttavia, è importante sottolineare che ottenere l’attenzione di una CE seria non è un processo semplice. Se hai bisogno di qualche dritta su come rivolgerti agli editori per proporre il tuo libro inedito, ne parlo in questo articoloPubblicare un libro: come rivolgersi agli editori.


Cos’è l’editoria a pagamento?

L’espressione “editoria a pagamento” si riferisce a un modello in cui gli autori pagano per la pubblicazione della propria opera da parte di una casa editrice. Questo sistema permette alle “case editrici” di coprire, parzialmente o totalmente, le spese di produzione del libro, riducendo così il rischio economico in caso di scarse vendite.

In sostanza, gli editori a pagamento agiscono più come fornitori di servizi tipografici (degli stampatori) che come veri e propri editori, offrendo tali servizi in cambio di un compenso economico. L’editore a pagamento, difatti, guadagna facendo leva sulla vanità – non a caso questo tipo di editoria è definita in inglese vanity press – e sul desiderio degli autori di vedere la propria opera pubblicata. Spesso, ciò avviene attraverso la promessa, quasi sempre illusoria, di valore e visibilità in cambio di un contributo economico.

Le case editrici a pagamento utilizzano diverse strategie per ottenere tale contributo dagli autori. Tra queste, possono richiedere sfacciatamente la “condivisione” delle spese di pubblicazione, l’acquisto obbligatorio di un numero prestabilito di copie del libro (tattica assai frequente) o l’acquisizione delle copie invendute.

Tuttavia, il costo richiesto può superare di molto il costo materiale del libro, che spesso viene poi trascurato se non abbandonato a sé stesso. D’altronde, se lo pseudo editore ha già incassato il doppio di quanto spenderà, perché faticare per vendere le copie.


Esistono editori a pagamento seri?

Il mondo editoriale è alquanto complesso e farsi un’idea chiara delle dinamiche che lo (s)regolano non è affatto semplice.

Molte case editrici, in particolare quelle più piccole, si presentano con una struttura interna e un modus operandi che suggeriscono serietà: un’attenta (in apparenza) valutazione e selezione delle proposte editoriali, una redazione competente e ben organizzata – editor, correttori di bozze, grafico, ufficio stampa, social media manager – e una ricca attività promozionale dei titoli presenti in catalogo. Tuttavia, queste stesse case editrici abbracciano la pratica del “doppio binario”, chiedendo un contributo economico agli autori per la pubblicazione, specialmente in settori di mercato percepiti come più deboli (in quanto a vendite). Sebbene alcuni editori giustifichino tale approccio in termini di crisi sistemica del settore, da un punto di vista etico richiedere un contributo totale o parziale agli autori è una pratica scorretta. Un editore realmente serio dovrebbe investire sui propri autori e sui progetti in cui crede, assumendosi il rischio imprenditoriale.


L’editoria a pagamento è legale?

La normativa stabilisce che, nel contratto di edizione, l’autore mette a disposizione la propria opera, cedendone i diritti di sfruttamento economico, mentre l’editore si fa carico di tutte le spese di produzione e distribuzione. Questo modello incentiva l’editore a promuovere attivamente l’opera, poiché il suo guadagno dipende direttamente dalle vendite, allineando così gli interessi di entrambe le parti verso il successo del libro.

Tuttavia, nonostante la chiara indicazione legislativa sulla gratuità del contratto di edizione per l’autore, non esiste una norma che vieti esplicitamente accordi diversi. La legge vigente, risalente al 1941, prevede che l’editore pubblichi a proprie spese “salvo diversi accordi”. Questa lacuna normativa implica che le case editrici sono di fatto libere di proporre contratti in cui richiedono un contributo economico all’autore per la pubblicazione. La decisione di accettare o meno tali proposte spetta unicamente all’autore.

È fondamentale comprendere, però, che in questi accordi (che non rientrano nella definizione legale di “contratto di edizione”), la cessione dei diritti di sfruttamento economico da parte dell’autore potrebbe essere esclusa o significativamente limitata, poiché l’editore riceve il proprio compenso direttamente dall’autore.

Detto in parole più semplici: firmando un accordo di questo tipo, l’autore paga l’editore per pubblicare un’opera del suo ingegno (che già di per sé suona male, molto male), per poi cedere anche i diritti di sfruttamento economico all’editore. Difatti, l’unico a guadagnarci è l’editore.


Case editrici da evitare: la black list

Fare una black list delle case editrici da cui stare alla larga è un’impresa delicata, un po’ come camminare su un campo minato. Ora, il mio obiettivo non è puntare il dito contro specifiche realtà editoriali – bocca mia taci – ma fornire agli autori gli strumenti per tutelarsi.

Come detto in precedenza, la nostra legislazione non vieta in modo esplicito questo tipo di editoria. Quel “salvo diversi accordi” lascia un varco aperto a chi sceglie di chiedere un contributo agli autori, rendendo scivoloso il terreno di un’accusa diretta.

A complicare ulteriormente le cose c’è la mancanza di trasparenza degli editori e delle associazioni di settore. Tutto ciò rende arduo per un autore, specialmente se alle prime armi, capire in chi riporre la propria fiducia.

Ecco perché, più che stilare una lista di nomi, è più saggio concentrarsi sui segnali d’allarme, che dovrebbero far drizzare le antenne e suggerire una sana distanza di sicurezza per evitare cocenti delusioni e, soprattutto, di ritrovarsi a sborsare denaro senza reali prospettive di vedere il proprio libro valorizzato come merita.


Come riconoscere gli editori a pagamento (EAP)

Riconoscere un editore a pagamento può essere cruciale per un autore (e il suo portafogli). Alcuni segnali d’allarme possono aiutare a distinguerli da editori seri e professionali. Tra questi, spiccano alcune tattiche ricorrenti:

  • Fretta. Un tratto distintivo è la fretta con cui operano. Anche di fronte a opere voluminose, la risposta è sorprendentemente rapida (una settimana, al massimo due). I tempi di riscontro degli editori seri variano dai 3 ai 12 mesi.
  • Lodi e lusinghe. Il feedback fornito è guarda caso sempre positivo, a volte persino eccessivamente lusinghiero, ma raramente specifico.
  • Richiesta subdola di contributo economico. La richiesta di un contributo economico (acquisto di un tot di copie è quello più gettonato) all’autore viene motivata con la generica “crisi” del settore.
  • Contratti essenziali e lacunosi. I contratti proposti tendono a essere superficiali e concisi (una pagina striminzita), spesso privi di voci e clausole fondamentali che tutelino adeguatamente l’autore e definiscano chiaramente i diritti e gli obblighi di entrambe le parti.
  • Assenza di strategia promozionale. Manca una pianificazione concreta e dettagliata per la promozione del libro. L’editore non presenta un piano di marketing efficace, lasciando l’onere della visibilità dell’opera quasi interamente all’autore.
  • Distribuzione limitata e comunicazione ingannevole in merito. Spesso gli EAP millantano la vendita dei libri su importanti piattaforme e-commerce come Amazon, Feltrinelli, Mondadori, ecc. Tuttavia, nella realtà, i libri risultano ordinabili solo con tempi di attesa molto lunghi (10-15 giorni o più). Questo accade perché, molto frequentemente, questi editori non sottoscrivono contratti con distributori nazionali di rilievo (primo fra tutti Messaggerie), rendendo di fatto assente la giacenza dei volumi e limitandone la reale disponibilità.


Pagare per pubblicare conviene?

Ma, a conti fatti pagare per pubblicare conviene? La risposta unica e onesta è no.

La questione dell’editoria a pagamento rimane un argomento scottante: l’elefante nella stanza. Ora il fatto che chi dovrebbe affrontarlo, decida di ignorarlo è assai deludente, ma questo non ti impedisce di informarti e scegliere consapevolmente.

Che si tratti dell’obbligo di acquistare un certo numero di copie, di partecipare alle spese di produzione o di retribuire servizi editoriali fondamentali, il succo non cambia: ti viene chiesto di investire di tasca tua per vedere la tua opera pubblicata (come vedi c’è un “tua” di troppo).

Di fronte a tali proposte, il consiglio più autentico e disinteressato rimane il più semplice: tutela le tue risorse, investile nella tua crescita personale e letteraria, piuttosto che in un’illusione di pubblicazione che raramente si traduce in un reale percorso editoriale.

Le testimonianze di chi ha percorso la strada dell’editoria a pagamento – di forum di scrittori incazzati ne è piena la rete – sono eloquenti: un’esperienza che lascia il portafogli alleggerito e il cuore infranto.

Le alternative?

Cercare editori seri, capaci di valorizzare il talento senza sfruttare l’entusiasmo degli esordienti, o percorrere consapevolmente la strada del self-publishing.


Se ti va di raccontarmi la tua esperienza, ti aspetto nei commenti.



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Sono un editor, correttore di bozze e content writer freelance. Leggo, scrivo, revisiono, scelgo le parole con cura.
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